Mezze stagioni, intere bugie

0.jpg“La storia passata delle convinzioni umane dovrebbe metterci in guardia. Abbiamo ucciso migliaia di nostri simili perché credevamo che avessero firmato un patto col diavolo e fossero diventati streghe… Dal mio punto di vista c’è un’unica speranza perché l’umanità emerga da quello che Carl Sagan chiamava “il mondo infestato dai demoni” del nostro passato.Quella speranza è la scienza”. Con questo messaggio Michael Crichton chiude il suo ultimo romanzo “Stato di paura”. Lo stato di paura è quella condizione di vita in cui certe associazioni ambientaliste vorrebbero farci vivere.Teorie sempre più catastrofistiche date in pasto ai media da pseudo-scienziati predicono per esempio che il surriscaldamento globale, oltre a modificare la rotazione terrestre, porterà ad una diminuzione della durata delle giornate, oppure che lo scioglimento della Groenlandia causerà l’innalzamento del livello dei mari di circa sei metri, per non parlare della “bomba demografica” che nei prossimi anni provocherà una immane carestia. Potremmo riempire della pagine di simili congetture.A proposito della tesi sul riscaldamento globale occorre fare innanzitutto due precisazioni. È vero che in una piccola parte dell’Antartide stiamo greenhouse.jpgassistendo ad uno scioglimento del ghiaccio, ma è pur vero che la superficie di questo continente è grande una volta e mezzal’Europa e lo spessore del ghiaccio è in aumento, raggiungendo in alcuni punti un’altezza di 10 km.Peraltro, lo stesso dato registrato sullo scioglimento è il frutto di misurazioni riguardanti ben seimila anni. Al riguardo,
Teodoro Georgiadis, fisico dell’atmosfera all’Istituto Ibimet – Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna – è molto chiaro: «Chiariamo che gli allarmi
lanciati su isole prima ricoperte dai ghiacci che ora vedono il loro scioglimento non hanno ragione di essere utilizzati a dimostrazione degli effetti del riscaldamento globale dovuto all’azione antropica. Nel corso dei secoli le temperature sono sempre variate e i ghiacci si sono sempre modificati: basti pensare alla Groenlandia (Grün land, terra verde) così chiamata dai tempi di Erik il Rosso per i suoi verdi pascoli e oggi, ripeto oggi, coperta daighiacci». Le nuove teorie sui cambiamenti climatici sembrano inoltre sconfessare quei modelli che prevedono il clima come un’entità statica, con dei trend di lungo periodo, dimostrando come invece il nostro continente si sia alternativamente raffreddato e riscaldato in modoanche brusco e repentino.4_georgiadis2.jpg«I record storici – precisa Georgiadis – ci permettono però di evidenziare in modo molto preciso l’esistenza di un effetto di “carico-scarico” della massa glaciale. Si riesce, infatti, a dimostrare molto chiaramente che i trend di aumento e diminuzione delle temperature siripetono con frequenze cicliche. Questi fenomeni sono evidentissimi se si considerano gli ultimi 450mila anni di vita del nostro pianeta. Il record di temperatura ottenuto dalle carote glaciali di Vostok mostra infatti un continuo susseguirsi di bruschi aumenti e lente discese della temperatura».Il cosiddetto fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai, andrebbe quindi considerato in una ottica allargata che consideri anche l’eco-sistema i cui tali fenomeni assumono consistenza.«Infatti – prosegue
Teodoro Georgiadis – per quanto riguarda i ghiacciai continentali, troppo spesso si fa riferimento diretto al “riscaldamento globale” senza tenere conto che altri effetti possono avere enorme importanza sul loro arretramento. Ad esempio, come suggerito
da Kaser e altri autori nel 2004, l’arretramento del Kilimangiaro non sarebbe dovuto a un aumento di temperature ma a una rapida diminuzione del contenuto di umidità atmosferica avvenuto attorno al 1880. I regimi dei ghiacciai rispondono, infatti con una estrema lentezza ai cambiamenti dell’ambiente circostante. I ghiacciai alpini, che hanno subito profondi global-warming.jpgarretramenti, risentono direttamente dell’influenza delle isole di calore delle zone a loro prospicienti caratterizzate ormai da una elevatissima urbanizzazione: questo effetto però ha molto poco a che spartire con l’aumento della C02».I catastrofisti, a supporto della loro teoria, riportano dati comprovanti un aumento negli ultimi trent’anni delle temperature, mettendo in relazione questo fenomeno con una tendenza alla crescita dell’anidride carbonica.Da questo assunto parte la teoria dei gas serra che ha dato vita al Protocollo di Kyoto, condizionando la produttività industriale di alcuni fra i paesi più industrializzati del mondo.Ma quello dello scioglimento delle calotte polari è uno degli aspetti più controversi del riscaldamento globale.Secondo molti ricercatori sarebbe evidente un progressivo riscaldamento dei poli e ancora più evidente sarebbe il sempre più marcato assottigliamento dello spessore del ghiaccio al Polo nord: sarebbe variato, secondo le stime più citate, di un valore compreso tra il 10 ed il20% negli ultimi anni. Questo pilastro del cambiamento globale viene però oggi messo in forte discussione dalla  revisione delle misure condotte da satellite. Sembra, infatti, che queste misure soffrano di un sistematico errore di sovrastima della diminuzione dei ghiacci non riuscendo a “penetrare”in modo efficacie il pack. Se questo fosse accertato, sarebbe un altro piccolo tassello diretto alla revisione delle stime dei cambiamenti globali che prevedono per il 2100 una variazione della temperatura media superficiale fino a 8°C. I dati sperimentali rappresenterebberoquindi l’unica possibilità di valutare correttamente l’operato dei modelli che fino ad oggi non hanno dimostrato di potere offrire degli scenari persuasivi per il futuro generando altresì del panico immotivato. In particolare, nelle aree polari caratterizzate da una forte suscettibilità ambientale le misure sono importanti proprio perché lì le eventuali variazioni dovrebbero essere particolarmente amplificate. È quindi necessario garantire un continuo monitoraggio e continuità a questo tipo di ricerche che ci permettono di testare i modelli chevengono poi utilizzati alle nostre latitudini. L’Italia partecipa alle ricerche polari con il proprio programma Pnra (piano nazionale di ricerche antartiche) mediante gli Enti di ricerca più accreditati a livello internazionale Cnr, Enea ed Università.E come i modelli climatici possano condizionare la vita economica di un paese lo spiega Federica Rossi, ecofisiologa, primo ricercatore e responsabile di Ibimet-Cnr Bologna: federica.jpg«Negli anni ’60 i vantaggi competitivi dell’Italia nel settore ortofrutticolo risiedevano fondamentalmente proprio nella spiccata vocazionalità climatica. In questo contesto – continua Rossi – è molto chiaro come l’impatto di cambiamenti climatici potrebbe portare aconseguenze molto forti su buona parte dell’economia nazionale, in particolare per il settoreortofrutticolo. Sono numerosi gli esempi che mostrano come la corretta gestione di un territorio e del microcosmo sociale a esso collegato esaltano la vitalità di entrambi, proprio grazie al legame indissolubile che si crea tra territorio stesso e la sua attitudinealla produzione di una tipicità.Per creare a mantenere l’eccellenza agro-alimentare, e favorire le strategie di ri-qualificazionedel prodotto nazionale, le previsioni basate sui modelli climatici devono essere quindi fornite con un alto livello di precisione. Altrimenti si rischia di fornire scenari climatici incompatibili con la fisiologia della vegetazione che, oltre a produrre allarmi potenzialmente immotivati, possono portare a scelte tecniche dequalificanti e a pianificazioni di pratiche colturali scorrette, che potrebbero mettere in pericolo quantità ma soprattutto qualitàdei prodotti in un mercato estremamente aggressivo».E se i presupposti ipotizzati fossero errati? Se l’aumento della temperatura non fosse legato a quello della C02? E chi l’ha detto che più anidride carbonica porti un danno al pianeta?In base a tali presupposti, gli eco-pessimisti divulgano modelli climatici che illustrano comesarà la temperatura da qui a mille anni.Viene da chiedere se tali modello non abbiano la stessa affidabilità di un oroscopo,dato che, attualmente, è quasi impossibile prevedere se tra dieci giorni pioverà certamente.Luigi mariani.jpgMariani, docente all’Università degli Studi di Milano – Dipartimento Produzione Vegetale, sulle cause del riscaldamento globale avanza una tesi alternativa:«A tale riguardo esiste anzitutto la necessità di districarsi nell’enorme groviglio di cause ed effetti che regge il clima del pianeta, anche valutando in modo sereno le diverse ipotesi in campo e che cercano di fornire spiegazioni in merito alla variabilità del clima. A tale riguardodevo dire che quella dei gas serra è solo una delle ipotesi in gioco, fra le altre ricordo quella solare o quella dei raggi cosmici proposta dal fisico israeliano Shaviv.Concordo con quegli studi che mostrano come il mutamento del clima non è di solito graduale ma si manifesta invece con brusche transizioni (salti) da una fase climatica all’altra. Uno dei salti che è più familiare a noi europei è quello nel regime delle correnti occidentali, quelgrande fiume d’aria che scorrendo da ovest verso est alle medie latitudini determina gran parte dei caratteri del clima europeo e mediterraneo. Infatti all’ultimo di tali “salti”, verificatosi intorno alla fine degli anni 70, è da attribuire la lamentela secondo cui non nevica più comeuna volta». «È a questi cambiamenti di fase – prosegue Mariani – di cui, il più spettacolare e cruciale per la stessa sopravvivenza della nostra civiltà è senza alcun dubbio la transizioneda regime interglaciale a regime glaciale, che abbiamo l’assoluta necessità di prestare più attenzione cercando modelli in grado di descriverli e se possibile di prevederli».Mai come in questi ultimi tempi, però, gli scienziati e i ricercatori rivendicano l’indipendenza della scienza dalla politica. «A tale proposito – afferma Mariani – voglio precisare che non è tanto in discussione la necessità di mitigare l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi, in quantosolo un cieco può non cogliere l’importanza di ciò.Spaventa invece vedere che anziché richiamarsi ad indicatori di impatto oggettivi(esempio l’urbanizzazione, la desertificazione, la massiccia riduzione della biodiversità) sifaccia invece ricorso all’indicatore più difficile ed aperto al dubbio, quello climatico. Viene allora il sospetto che sia molto più facile e demagogico concentrarsi su un tema come quello del clima, in cui le responsabilità precise sono difficilmente individuabili se non in termini di “civiltà occidentale” o “governo americano” o “Stato imperialista delle multinazionali”che non porre l’attenzione su aspetti molto più concreti e che dietro alle responsabilitàhanno nomi e cognomi. Da questo punto di vista a mio parere la responsabilità dei movimentiecologisti è veramente enorme. Alla luce di ciò la vulgata alla “professor Sartori” (politologocon velleità di climatologo, come attestano alcune infelici sortite dal fondo del “Corrieredella Sera”) secondo cui un clima per sua natura stabile sarebbe stato instabilizzato dalla perfida azione dell’uomo, appare francamente un po’ debole. Proprio perciò – conclude LuigiMariani – un ricercatore onesto non può a mio parere piegarsi a questo che io considero un gioco al massacro e deve viceversa mantenere quell’indipendenza di giudizio che tuttavia oggi deve pagare pesantemente in termini di finanziamenti alla proprie ricerche». 

1 Responses to Mezze stagioni, intere bugie

Lascia un commento